Le Ocarine

quando chi scrive è un'oca


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L’oca alla radio (1)

Robert Capa, Tour de France, luglio 1939 © Robert Capa

Robert Capa, Tour de France, luglio 1939 © Robert Capa

C’era una volta un’Ocarina in chat, ebbe quella la bella idea di dare l’indirizzo di questo blog a un estraneo conosciuto online. Il tizio disse: “Tanta roba, che ce faccio? Che la devo legge? Te lascio il cellulare che facciamo prima, così me spieghi quello che ci sta scritto”. Allora l’Oca fu sul punto di usare le cattive maniere, e la storia racconta che le usò davvero, ma non è questo il punto. La questione si sciolse quando fu chiamata in causa una differente Oca affinché il nuovo bipede da blog potesse leggere quello fin qui scritto e farne degli appuntamenti settimanali di questo sito.

Nasce così la rubrica “L’Oca alla radio”, laddove anziché starnazzare come Oche scriventi nell’aia virtuale, ci affidiamo a una valida e bella voce per fare il sunto, il punto e l’appunto agli articoli finora qui pubblicati, affinché quella vi tenga  maggiore o  diversa compagnia.

Sulla barra laterale potete trovare il link diretto alla sezione L’Oca alla radio, oppure potete rintracciare tale categoria nello scaffale presente nel menù in alto, esattamente in questa sede.

E infine il testo narrato, ma soprattutto QUI SI ESIBISCE L’OCA ALLA RADIO. 

Che ne dite? Vi pare una buona idea?

Ringraziamo l’Oca narrante alla radio e vi auguriamo un buon ascolto.


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Risate da ricerca

Che il mondo virtuale leghi la fantasia alla contraddizione di se stessa, lo abbiamo detto. Che attualmente la lingua italiana sia bistratta e ignorata, lo abbiamo sottolineato con numerosi esempi. Che questa storia dei sentimenti sia complicata, lo ricordiamo con frequenza. Ma ora è tempo di ridere. Dopo le primarie del centro sinistra, aspettando quelle del centro destra, sperando in quelle del centro per par conditio, vi invitiamo alle risate democratiche dove l’unico obiettivo non è quello di scoprire l’acqua bagnata della politica, bensì di condividere la risata. Abbiamo raggruppato per macro aree le chiavi di ricerca più assurde e scabrose finora segnalateci da wordpress.

A voi esprimere la vostra preferenza o gli eventuali suggerimenti.

PS: Dati alcuni contenuti, questo esercizio di libera democrazia prevede la maggiore età, esattamente come l’accesso al voto.

foto

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Albert Bloch, Conversation, 1950


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Dieci (più dieci) buoni motivi per scappare

Due sono le possibilità di lettura di quest’articolo. Anzi tre.

La prima è seria e si collega agilmente con un articolo comparso qualche giorno fa su Internazionale, che qui vi linkiamo: la scarsa propensione dell’italico popolo alla lettura, quindi alla comprensione e alla scrittura. Ovvero una spiegazione alta e motivata del perché online si possano trovare profili come quelli elencati in calce a questa breve introduzione. Non leggendo, non vedendo, non sperimentando seppur su carta uno spazio differente, le parole continuano a descrivere uno stereotipo ormai lacero ed evanescente di happy end troppo idillico anche per una pubblicità. Fatta salva la medesima premessa, poco si ha da dire anche su se stessi.

La seconda chiave di lettura è assolutamente più ironica e canzonatoria. Volete gioire della vostra singletudine? Ecco almeno dieci (più dieci) motivi per scappare da una relazione, o meglio dall’incontro con il detentore di un profilo come quelli che tra poco andrete a scoprire.

La terza possibile via è la vostra. A voi leggere, desumere, ridere e sorridere, riflettere sul perché a volte sia così difficile comprendersi. Dicono dipenda dai differenti piani di comunicazione, bisogni e disponibilità, allorquando per incontrarsi non basta un semplice ascensore che sale o scende.

Buona lettura.

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Get off the internet, I'll meet you in the streets


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Psycho killer

Qua dentro è pieno di pazzi. Lunatici, frustrati, repressi. Soggetti con scarse capacità relazionali e moti di entusiasmo montati per esaltazione dalla virtualità, ma buttati nell’angolo di uno sgabuzzino polveroso dalla vita reale. La rete funziona così: sfoga le frustrazioni più sopite e violente, raccoglie e dà spazio immateriale alle pulsioni improvvise, alle emozioni desiderate, alle espressioni che diversamente rimarrebbero pensieri incompiuti o senza spazio per manifestarsi: voci assenti di pubblico anche se in coda al supermercato.

I blog e i commenti a questi, i social network con le loro chat ed email sono una sorta di giostra che fa girare sentimenti e parole, dando a ciascuno la sensazione di potenza, di possibilità ed esistenza. E più lo scrivere è basico ed elementare, tanto più le cialtronerie a commento ricalcano l’immagine di un Paese mediamente assente da spirito critico e sfumato in grigio e qualunquismo, con un fondo di labilità latente ma densa.

Cosa c’entra tutto ciò con le questioni di un blog di Oche? Molto. Continua a leggere


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Le probabilità di Eginardo

Probabilmente ci scegliamo in pochissimi istanti: già dal nome, dalle prime battute scambiate, dall’aspetto virtuale dell’altro, dal suono della sua voce. Ad esempio, Eginardo, dalla voce stridula, con il rigetto per le acca, l’assenza di pensieri con subordinata, la foto da ebete in bagno, non susciterebbe grossa fascinazione in un’Oca come quelle scriventi. Scusandoci con tutti gli Eginardo in lettura, siamo certe che il processo attrattivo verso qualcuno è automatico, poggiante sui sensi, l’esperienza e il cervello, ma difficilmente misurabile in percentuali concrete. Se fossimo in giro per una piazza, in un locale, sapremmo subito che ciò che ci piace è in primis la fisicità e il comportamento dell’altro, e poi il suo pensiero, la sua voce, il suo racconto.

Quando invece si sceglie un social network come possibilità di conoscere qualcuno, ci s’incontra prima su alcune righe scambiate, in seguito o in parallelo si passa per le proprie foto e poi per il contatto telefonico o ulteriori social che attestano la vostra esistenza e sanità (come siamo ridotti!). Se fino a quel momento, la situazione ha retto e nessuno dei due ha detto “Next (person), please!”, allora si passa all’incontro vero: due persone in un luogo, materia tangibile.

Quando ci si stringe la mano per la prima volta, ci si avvicina per un abbraccio, ci s’incontra in uno sguardo, è quello il momento, tutto si scioglie: l’istante in cui si conosce la sorte del rigore calciato, se è stato parato o è diventato un gol. In quei pochi minuti, ci si può piacere molto, abbastanza o per nulla. La questione si fa reale e diventa nell’immediato un fatto di attrazione o rifiuto. Non è detto che ci sia qualcosa di preciso che ci attrae o ci respinge, non è detto che sia il rotolino di pancia, il naso aquilino o il verde degli occhi, e di contro la scollatura, la curva dei fianchi che ci fanno scappare o rimanere. E’ una questione a due, come una calamita e un metallo o due calamite di polarità opposte e attraenti. Insomma una reazione chimica, un’attrattiva fisica, una risposta biologica, un complemento di moto a luogo.

Aprite una porta e vi trovate davanti la concretizzazione tridimensionale dei vostri scritti, scendete dall’auto e stringete la mano a chi vi ha fatto sorridere, allungate il passo per salutare colui che finora era un insieme di battute e gusti. Incontrate insomma una persona che, forse se non fosse stato per una chat, non avreste mai conosciuto.

E poi che succede? Come finisce la partita e che fine fa quel rigore? Bella domanda. Continua a leggere

Edward Hopper, Chair car, 1965


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Tre su tre

Tanto tempo fa, gli incontri accadevano nel normale susseguirsi della vita. Può sembrare inusuale come modalità, sarebbe tanto strana quanto estranea. Come guardare i negativi delle foto vacanziere di qualche decennio addietro, con tutti gli scatti in sequenza e un po’ ingialliti. Capitava di incontrarsi all’uscita di un bar, negli uffici, per i viali di una città, in metropolitana, in treno. Dicono le fonti ben informate, e coloro che hanno memoria di quei leggendari tempi, che se allora due persone si incrociavano per colpa di uno sguardo, di una richiesta di informazioni inutili o necessarie, di un istintuale moto attrattivo, poi era buona e condivisa abitudine quella di scambiare alcune parole. In taluni casi anche un sorriso e un caffè, poi ci si salutava per rivedersi con l’intenzione seria di un appuntamento o magari si lasciava fare al caso.

Ma questa è una storia lontana prima ancora degli auricolari da treno, della diffidenza sospettosa e paurosa, del timore, delle parole scritte e non parlate a voce alta, dei social network che dicono oggi siano più godibili del sesso: cose stravaganti queste come quelle di tanto tempo fa!

Si compiace delle stesse proprietà di assurdità e di lontananza anche il tempo in cui si colloca questo racconto.

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Amore liquido

Post-it (www.aab.altervista.org)

D. Anche l’amore liquido è una conseguenza del ’68.
R.
 Gli appuntamenti su Internet, gli incontri di una notte («one night stand»)… Tutto è una conseguenza. È facile: ti diverti, poi premi il bottone delete, cancella. E tutto sparisce.
D. Nell’attimo, però, la soddisfazione è maggiore. Si conoscono più partner, si accumulano esperienze di vita.
R.
 Sì, ma il punto è che, nel tempo, ciò che dà soddisfazione è innanzitutto collezionare esperienze su esperienze. Una volta ottenuto l’oggetto del desiderio lo si getta via, per ottenerne subito un altro.
D. Il mio iPhone, però, non è l’ultimo modello. E l’ho preso pure usato.
R.
 Stia tranquilla che, presto, anche lei lo getterà nel sacco della spazzatura, per averne uno nuovo.

E’ questo un estratto di una lunga intervista  al sociologo Zygmunt Bauman pubblicata sul quotidiano online Lettera 43. (link  all’articolo): una riflessione condivisibile che allarga il ventaglio di possibili spiegazioni sulla difficoltà dello stare insieme.

Altre notizie in Edicola.

Steven Meisel per Vogue Italia, giugno 2011


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S, M, L – Botero oversize (Make, no mistake)

Steven Meisel per Vogue Italia, giugno 2011

Steven Meisel per Vogue Italia, Belle vere, giugno 2011 (http://www.vogue.it/magazine/cover-story/2011/06/belle-vere)

C’erano una volta i fianchi, il seno, il punto vita, il fondo schiena. La donna era fatta in quel modo, di morbidi incavi e piacevoli sinuosità. Per molto tempo, quelle voluttuosità sono state il fuoco ispiratore delle arti figurative, della letteratura, della musica e del cinema. Calamita per gli occhi, accensione dei sensi. Una magnifica visione.

Morbidezze diffuse con sapienza e disegnate con linee curve di raggio vario, partendo dalla caviglia, salendo fino alle cosce, all’allargamento dei fianchi subito ridotto dal punto vita e poi verso l’alto, lo spettacolo dei seni che amplia la vista e di nuovo su fino all’incavo delle spalle per poi parcellizzarsi nei dettagli delle labbra, degli zigomi.

In seguito uno stilista cattivo piallò i fianchi, spianò i seni, si dimenticò del fondo schiena, azzerò il punto vita. Venne fuori una mannequin, un’ottima gruccia per abiti e impermeabili, ma nessuna verosimiglianza con la donna vera, quella comune. Nonostante la spigolosità acuta del nuovo disegno, questo ottenne comunque un nutrito numero di fans. Ma lo stilista, oltre ad essere cattivo era anche di umore variabile, e dal suo diabolico castello griffato, iniziò a lanciare bozzetti so curvy o so straight a stagioni alterne.

La donna, una donna, si guardò allo specchio e dopo aver combattuto a lungo con quelle sue morbidezze, trovò con esse un compromesso capendo che, forse non era perfetta, ma che quelle erano le carte con cui avrebbe giocato la sua partita, vincendo a volte ottime manche e perdendone altre, senza curarsi troppo delle bizze dello stilista.

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Who do you love?

Quando ci s’iscrive ad un sito di dating che abbia come obiettivo l’incontro, la prima difficoltà da superare è quello nei confronti del mezzo, che spesso sconta il pregiudizio dell’artificialità e viene considerato come l’extrema ratio di una situazione disperata. Ovvero in molti (i fortunati dell’amore-eterno-finché-dura, gli ignavi della connessione o i veri fans della vecchia maniera) guardano con ritrosia lo strumento del web per incontrare l’anima gemella, o qualcuno che gli si avvicini. Verosimilmente è un’opportunità: non è detto che funzioni, non è detto che sia fallace.

Di seguito trovate dati, parole, grafici e impressioni su quello che riguarda i social network e i social dating.

Ma rimane l’interrogativo: who do you love?

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Rafael Zabaleta, Ragazzo con pollo, 1951


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Il benessere del pollo

Rafael Zabaleta, Ragazzo con pollo, 1951

Rafael Zabaleta, Ragazzo con pollo, 1951

Il benessere del pollo è pura utopia. Qualunque sia l’iniziativa presa, il pollo industriale sarà sempre un pezzo di carne che si estruderà ingrassando a ridosso dei suoi vicini, polli anch’essi. A tempo debito, verrà mietuto e servito in tavola. Pochi i risultati che reggono l’equilibrio tra la qualità del suo vivere e la resa richiesta all’animale. Per farlo star bene, sarebbe necessario portalo nell’aia del contadino, in una comunità ridotta e con qualche gallinella ben disposta in giro. Allora sì che il pollo cambierebbe d’umore, malgrado la sua espressione segnerebbe sempre uno stato di ottusità non indifferente. Alla gallina ovaiola va forse meglio in quanto a convivenza con le sue simili, ma sono gli unici risultati del femminismo moderno quelli di cui questa gode.

E’ lecito supporre che i tentativi di miglioramento della vita del pollo derivino da uno scrupolo della ricerca, da una sensibilità nei confronti dell’animale, da una pietas verticale della specie umana verso quella avicola, poiché capita solo nei cartoon che un pollo sia scosso da un fremito di coscienza e, invaso da un alito di libertà, zompetti sopra le groppe dei suoi simili verso l’uscita del capannone in cui si trova, sbattendo le ali e il becco per una strenua lotta contro le multinazionali della cotoletta.

Si potrebbe proporre a qualche aspirante miss di esordire con una differente frase, qualora le chiedessero in cosa spera e in cosa crede. Anziché la pace nel mondo, potrebbe dire che si impegnerà per il benessere del pollo. Una lettura alternativa della supercazzola degli Amici miei.

Il pollo vive in funzione del suo nutrimento, non si organizza in forme di protesta sindacale, non ha problemi per arrivare alla fine del mese, non soffre la concorrenza, la depressione, non si aspetta che una gallina sciantosa faccia di quello un pollo felice.

Diciamolo, il pollo è desiderabile solo per il suo corpo. Questa l’unica potenziale attrazione: il suo petto e le sue cosce, in barba al benessere del suo vivere. Continua a leggere


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(Non) E’ sempre colpa dei geometri

Se t’intestardisci nel volere la parete della camera proprio qui, qui, esattamente qui, il geometra ti guarderà perplesso e ti chiederà conferma della tua decisione. Convinto che quella sia la scelta migliore perché guarda-qui-quanto-spazio-c’è, il muratore tirerà su una parete divisoria proprio lì, lì, esattamente lì. Con undici centimetri scarsi di parete hai ottenuto la tua camera da letto doppia da 5,24 metri quadrati. Dopo aver decorato lo spazio con una carta da parati con zebrature in rilievo e arricchita da inserti floreali sui toni del lilla, andrai all’Ikea a prendere un letto matrimoniale con il baldacchino e la testata realizzata con decori barocchi spruzzati d’oro. Ma sorpresa delle sorprese, il letto in camera non ci sta. O meglio, ci sta, ma poi non ci sta l’armadio. E se ci stanno il letto e l’armadio non ci stai tu.

Certo, potresti sempre richiamare il geometra e farti soppalcare una camera da letto alta 2,67 metri. E’ quasi assicurato che ci scapperà anche un angolo relax in quel soppalco, mentre tu potrai decidere se buttarti sul letto o dalla finestra.

Peccato che il geometra sia andato in una ridente località, incastrata tra un fiume e una montagna di rischio sismico massimo, a costruire allegre villette a schiera che marciranno di umidità dopo appena dieci giorni.

La colpa non è sempre dei geometri. Tuttavia chiariamo che da un Paese che assicura loro una presenza in Parlamento, terza solo a medici e avvocati, nulla ci si può aspettare. Come nulla ci si può aspettare da un Paese che affida il suo futuro ai comici, ai barnum di destra e di sinistra, ai burocrati del chissenefrega-siamo-fuori-dalla-crisi-anche-se-non-ho-nesssuna-misura-del-paese-reale. Nulla ci si può aspettare da un Paese che non si sveglia mai e che non matura mai.

La colpa non è sempre dei geometri, perché lo stesso risultato misero della tua sciatta camera l’avresti potuto raggiungere con una capra di architetto o una bertuccia d’ingegnere. Purtroppo non bastano le categorie o le reputazioni per essere certi di un risultato. Anche se le scuole per geometri sarebbero da vietare come attività lesiva del bene pubblico e anticostituzionale, mentre le facoltà di architettura e d’ingegneria sarebbero da chiudere per almeno un decennio buono. Solo in seguito, eliminati i geometri e provati gli architetti e gli ingegneri, si potrebbe capire cosa fare di loro, del costruire, del paesaggio, delle infrastrutture.

Non solo, andrebbero vietate per offesa al senso del pudore anche tutte quelle riviste del fai da te dell’arredamento, ti-arredo-casa-con-31,76€-iva-inclusa, ti-dimostro-che-in-21,84-metri-quadrati-puoi-viverci-tu-mezza-Cina,-un-quarto-d’India,-e-tutto-il-circo-Orfei, che-ce-ne-fai-di-un-tecnico-se-ci-sono-io-che-ti-dico-come-fare, vai-avanti-senza-una-visione-tridimensionale-degli-spazi,-senza-un-progetto, -senza-un-prospetto-dei-costi,-tanto-lo-spazio-è-tuo-e-te-lo-gestisci-tu. Continua a leggere

Juan Gris, Newspaper with coffee mill, 1915


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Due caffè freddi, un orzo in tazza grande

Juan Gris, Newspaper with coffee mill, 1915

Juan Gris, Newspaper with coffee mill, 1915

«Fretta, la domenica mattina hanno tutti fretta! Fretta, la domenica mattina hanno tutti fretta!»

E il barista poggia le ordinazioni sul tavolo. Due caffè freddi, un orzo in tazza grande.

A quel tavolo ci sono tre amici.

Di fronte a loro, un’anziana signora con una piazza di rughe come volto, un grande busto, un piccolo cagnetto ai piedi. Un po’ ricorda Miriam Mafai. Davanti a lei, un attempato principe del foro che nei suoi tratti rammenta l’immagine di un presentatore degli anni Settanta. Leggono i quotidiani, scambiano qualche parola. Salutano gli avventori. Sono le uniche presenze fisse in quel dehors del bar in una città di settembre, oltre al tavolo con i tre amici, perché gli altri clienti consumeranno la colazione, faranno quattro chiacchiere e poi se ne andranno accompagnati dalla loro fretta.

A quel tavolo, i tre amici fanno il punto dopo le vacanze. Il “dove eravamo rimasti” prima del caldo, della mollezza sotto l’ombrellone, delle creme solari e dell’aria di vacanza.

Dove siete stati/ Che avete fatto/ Hai sentito Lei-Lui/ Dove sta/ Come va.

Come al solito non si giunge a nessuna conclusione oltre il racconto.

Fa uno dei tre amici: «Eppure nessun tra voi/noi cerca niente di complesso, di strano o di assurdo che non sia una storia normale, due che stanno insieme, progettano un futuro e condividono un sentimento. E posso capire che si investa, ci si intestardisca su qualcosa di appena iniziato, per dare tempo e spazio, anziché rincorrere sempre nuovi inizi. Ma poi ci si perde in storie trascinate per lunghi periodi senza giungere alla certezza di essere qualcosa».

La loro consumazione è finita da un pezzo. Si alzano, si incamminano per il viale, raggiungono la stazione e qui si salutano caramente promettendosi nuovi incontri.

E da quella conversazione i pensieri si giuntano da soli. Continua a leggere

Blu, artista di strada, Inghilterra 2008


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Nantron/Metallico (La fatica)

Strana, non banale, arguta.

Blu, artista di strada, Inghilterra 2008

Blu, artista di strada, Inghilterra 2008

Di certo, se erano complimenti, a Laura facevano piacere. Tuttavia uno solo era l’apprezzamento che avrebbe voluto sentirsi dire, quello di cui aveva bisogno, e che stava diventando sempre più raro, da ricevere come da leggere negli occhi altrui. Più generoso, a volte, era un sincero specchio.

Era  un periodo faticoso. Era come star dentro ad un enorme orologio dagli ingranaggi mastodontici e arrugginiti. Inceppati. Complessi. Grigi. E l’aria che si respirava in quel pantagruelico mondo era stagna e rarefatta. Laura faceva fatica. Ovunque si guardasse era tutto saturo. Di persone, di insoddisfazione, di rabbia, di promesse. Di troppo. Di poco. E di assenze. Mancava il lavoro, mancava una prospettiva. Mancava un’iniziativa che non fosse sterile. Mancava. Ed era un’assenza talmente ampia  da essere difficile nella misura e nella quantità.

A volte Laura aveva dei momenti di silenzio, carichi di pensieri che potevano anche rovesciarsi in un pomeriggio di pianto stesa su un divano, dove rimaneva per ore aggrappata al bracciolo per reggere il contraccolpo dei singhiozzi. Faceva fatica. Ed era una fatica liscia, la sua. Doveva attraversare quei giorni dall’umore basso come un martini secco: senza nessun additivo, calmante, biglietto aereo, droga leggera, medicinale prescritto. Così da tempo aveva deciso di giocarsela, visto che non poteva evitarla.

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Joe Colombo per Kartell, sedia impilabile, 1967


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La sedia di plastica

Una sedia è sempre una sedia. Di plastica, di legno, di metallo.

Joe Colombo per Kartell, sedia impilabile, 1967

Joe Colombo per Kartell, sedia impilabile, 1967

È una seduta. Anche chiamandola “quel gentil giaciglio per le mie terga allorquando necessito di un’adeguata postazione per le faccende di lavoro, di nutrimento, di dialogo o per infinite facezie di natura varia”, la sedia è sempre una sedia.

Nel 1953, Giulio Natta scoprì il polipropilene, una plastica appartenente a una famiglia di materiali assai più ampia. Le materie plastiche, appunto. Con questa scoperta, che valse a Natta il Nobel, e con il seguente sviluppo delle ricerche sul medesimo campo – a dire il vero già avviate anni addietro – il vivere quotidiano fu davvero rivoluzionato: dalle calze di nylon per signora, ai contenitori per il cibo, alle case prefabbricate in “plastica”. Qualsiasi oggetto, qualsiasi prodotto, è pensabile se non addirittura realizzabile e/o realizzato in “plastica”, internamente o per componenti. Grazie alle materie plastiche, il design italiano ha conosciuto la sua stagione più elevata con una produzione leggendaria che ha eletto alcuni tra quei prodotti alla soglia di classici contemporanei. Una stagione coronata con la mostra del 1972 tenutasi al Moma di New York, dal titolo: “Italy. The new domestic landscape”. Come dirà il suo curatore, Emilio Ambasz, quella fu una mostra per certi versi non più ripetibile.

Innovazione. Creatività.

In alcuni settori l’innovazione è un semplice riciclo.  Continua a leggere

Elliot Erwitt, Jackie Gleason, 1944


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L’Abusivo – La lagna del cretino

La lagna

Salvador Dalì, Autoritratto molle con pancetta fritta, 1941

Salvador Dalì, Autoritratto molle con pancetta fritta, 1941

«Mai contente, mai tranquille, sempre a volere qualche altra cosa, a rimpiangere un’altra situazione, un’altra camicetta, un’altra estate, un altro parrucchiere. Le porti a New York, e subito la confrontano con Positano, tanto più dolce e distensiva; le accompagni sul Nilo, e gli scatta la nostalgia per quel certo ruscelletto scozzese, tanto più limpido e fresco. Chez Maxim le disturbano i troppi camerieri, la subdola (secondo loro) alterigia del maître; nella pizzeria le offendono le macchie sulla tovaglia a scacchi, l’odore che resterà attaccato ai capelli.

«Alte, si sentono trampolieri; basse, si sentono tappi. Magre, c’è il rovello del seno inadeguato; grasse, il dramma dei fianchi prorompenti. Carine, vorrebbero essere belle. Belle, vorrebbero essere bellissime. Bellissime, chiedono allo specchio: ma la bellezza è tutto?

«E poi comunque ci sono troppi generi di bellezza per non gettarle in un mare di dubbi tormentosi. Una bellezza sexy, vistosa (“ma cos’ha da guardare quel cretino?”) le fa sentire tuttavia volgari; una bellezza sognante e misteriosa è però poco pratica; una bellezza aristocratica rischia di intimidire, scoraggiare; una bellezza da rivista di mode non avrà l’aria costruita, banale? Continua a leggere

Joan Miro, Blue II, 1961


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Blu di Prussia

Musica consigliata: Love of my life, nella versione di Frank Zappa

Joan Miro, Blue II, 1961

Joan Miro, Blue II, 1961

In una delle ultime occasioni in cui ho preso il treno, la signora che avevo di fronte indossava elaborati gioielli artigianali al collo e alle dita, con grosse gemme e particolari intrecci. Portava il mio stesso nome scritto a mano sulla targhetta della sua valigia. Aveva vispi occhi celesti su un viso segnato da qualche ruga, armonioso e rassicurante. Quando le dissi il perché del viaggio, sgranò ancora di più quell’azzurro acceso, passando dal rimprovero alla severità e infine ad una sorta di augurio quando le porte del treno si aprirono e ci salutammo.

Ma la nostra conversazione era nata da ben altra solidarietà da viaggio. Nei posti di fianco ai nostri, dopo il corridoio centrale, c’era una coppia di anziani tedeschi che all’inizio dell’estate risaliva da Rimini. Continua a leggere


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Le chiavi e l’indirizzo giusto

E’ un piacere divertente, curioso e semplice quello di conoscere le chiavi di ricerca che conducono da un browser qualsiasi a questo sito. Ecco cosa accade con i termini che vi hanno condotto qui, tra varietà, assurdità e un velo di preoccupazione proviamo a vedere se queste chiavi di ricerca portano davvero ai post finora pubblicati e se è possibile imbastire una semplice lettura estiva di fine agosto.

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Vincent Van Gogh, I due amanti, 1888


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Il vento del Nord

Musica consigliata: Vento d’estate, Max Gazzè e Niccolò Fabi

Vincent Van Gogh, I due amanti, 1888

Vincent Van Gogh, I due amanti, 1888

Tutto accade per colpa di una “e” in più in un indirizzo email. Così Emmi incontra per caso con Leo, online.  E sulla  scia di una cortese spiegazione dell’equivoco, i due, che non si conoscono, iniziano a scriversi: prima con distanze temporali di mesi. Poi la conversazione scende o sale di un piano: diventa personale e Emmi e Leo si scrivono ogni giorno: dal buongiorno alla buonanotte, con intervalli di pochi minuti, qualche ora, alcuni giorni. Cadono in una bolla sentimentale, convinti di provare qualcosa vicendevolmente.

Leo ed Emmi si raccontano attraverso le loro email e il tempo che passa tra uno scritto e il seguente.

Emmi è sposata: una famiglia perfetta. Emmi è giovane, Emmi è bella, Emmi è piena di vita.

Leo è single, con sporadici ritorni di fiamma per Marlene. Professore affermato. Bell’uomo.

Vivono nella stessa città, per fortuna o disgrazia sadica.

Per circa un anno, saranno coinvolti in questa relazione/dipendenza online. Temendo sempre di rovinarla con un incontro, eppur volendolo fortemente.

Fisseranno un appuntamento in un caffè, senza presentarsi direttamente l’uno all’altra, allargheranno l’equivoco o lo restringeranno a una serie limitata di facce.

Berranno calici di vino rosso o bicchieri di whisky davanti ai loro computer, si terranno compagnia nelle ore notturne, raccontando del vento fastidioso del Nord che entra dalla finestra aperta di Emmi.

Parleranno di baciarsi e di fare l’amore. Crederanno di amarsi o, forse, un po’ si ameranno sul serio.  Continua a leggere

Henri Matisse, Nudo su poltrona, gambe incrociate, 1920


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Gambe d’estate

Mattina d’estate, viale alberato, ore 11.30.

Henri Matisse, Nudo su poltrona, gambe incrociate, 1920

Henri Matisse, Nudo su poltrona, gambe incrociate, 1920

Short coloniali, maglietta leggera, zeppe alte, trucco essenziale, seduta su una panchina in attesa di un’amica.

Signore anziano, quasi fosse stato mandato fuori dalla moglie per una commissione con una sporta da restituire.

“Nicoletta?”. “No” e occhi che avevano già capito.

“Giovanna?”. “No” e occhi che non si alzano neanche.

“Comunque tu ti chiami, sei una bella donna”. E si allontana.

Un giovane uomo si sarebbe mai fermato per un paio di gambe estive?

No, perché avrebbe avuto paura del “gran rifiuto” in una mattina d’estate.

No, perché poi se avesse ricevuto un sì e un sorriso? Sarebbe rimasto incastrato in una mattina d’estate, in un matrimonio, in una casa al mare, pappe e bebè, mutuo e bollette da pagare, spazzatura da buttare, cane da passeggiare e amante da trovare…

No, perché… insomma… io non so cosa voglio, come la voglio, se la cerco più androgina ma formosa, o più morbida ma longilinea, se mora, bionda, castana, bruna, calva, intelligente e sciocchina… e poi non mettetemi pressione! Le decisioni mi agitano!

O storie simili, proprio qui.

Wayne Miller, Una bambina legge Ebony magazine


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Articolo al femminile, articolo al maschile

Oggi vi segnaliamo questi due articoli e vorremmo conoscere la vostra opinione in merito.

Leggete e riflettete, riflettete e scrivete.

Di che cosa sono fattele armature delle donne? | La ventisettesima ora.

L’amicizia uomo-donna/2Bisogna dirsi subito che non si cerca altro | La ventisettesima ora.


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L’erotismo di Oberdan Baciro

«Ironico, forse cinico, ma sentimentale. Lelio si vendica in questo libro del ragazzino che era in lui» . Franca Valeri

L’erotismo di Oberadan Baciro è il libro uscito postumo per Einaudi di Lelio Luttazzi.

E su Lelio Luttazzi avevamo già iniziato a dirvi, pardon a cantarvi qualcosa non molto tempo fa.

E’ stato il re italiano dello swing. Musicista, direttore d’orchestra, conduttore, compositore, attore. Un uomo d’altri tempi nelle immagini che il bianco e nero di Studio Uno ci restituisce.

Il libro scorre pagina dopo pagina, veloce e leggero. Sarcastico, irriverente. Inaspettatamente capace di far sorridere, se non proprio ridere di gusto in certi passaggi di unica elegante semplicità comica.

I capitoli sono snelli, rapidi. Racconti sintetici eppure corredati di tutte le immagini, informazioni e dialoghi essenziali. Un comporre veloce, tagliente, essenziale, caustico, forbito. E anche sottilmente erotico.

Da quello scritto si apprendono diverse lezioni, in primis cosa sia l’ironia e il buon gusto di una pagina.

La storia è al limite tra l’autobiografia e l’invenzione. Alcuni spunti sono di natura schiettamente personale, altri appartengono forse alla costruzione del romanzo laddove i ricordi privati si annebbiano con la narrazione. E in questa il presente dello scritto si intreccia con le riflessioni future che fa il protagonista.

Oberdan Baciro è figlio unico di madre vedova. Continua a leggere

Jack Vettriano, The Perfectionist


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Lo svuota-tasche

Musica consigliata: Beast of Burden, Rolling Stones

Jack Vettriano, The Perfectionist

Jack Vettriano, The Perfectionist

La dimensione virtuale della conversazione arricchisce i rapporti umani di variazioni sul tema. Capita talvolta di trovarsi in piacevoli dialoghi da chat con persone che non saranno mai dall’altra parte di un tavolo a sorseggiare un caffè o una bibita ghiacciata. Talvolta per pigrizia, talvolta per assenza di zelo, talvolta per paura.

Si è troppo distanti per incontrarsi, si sta troppo bene in chat da temere di un incontro e il retrogusto possibilmente amaro di quello, non se ne sente la necessità, si ha paura che una moglie o un marito geloso ci becchino in flagranza di reato (o che l’altra/o sia un’amante impegnativa). E così diventiamo degli svuota-tasche di manager, colleghi, imprenditori ciascuno con una sua specifica forma di immobilità e ritrosia rispetto all’incontro. E abbiamo noi, in essi, altrettanti svuota-tasche.

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Fernando Botero, Gli amanti


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Ecologia dei sentimenti

Musica consigliata: L’uomo più furbo del mondo, Max Gazzè

Fernando Botero, Gli amanti

Fernando Botero, Gli amanti

Il bene è una risorsa preziosa, qualunque dimensione esso abbia – amoroso, amichevole, filiale – e qualsiasi intensità lo colori – passionale, assoluto, naturale, familiare – non è cosa da poco. Non è facile, non è immediato, non è scontato. È un sentimento necessario eppure complesso. È necessario come l’acqua fresca quando l’aria s’appiccica addosso e il corpo chiede nutrimento. È complesso come un grattacielo di venticinque piani costruito in sei mesi. Forse per natura semplice come qualsiasi altro istinto di natura sociale ed emotiva, ma reso difficoltoso solo dalla pratica umana. Non va sprecato, non va dato per ovvio, non va maltrattato perché è fatto di persone, capitate e/o scelte.

Ma se la predica sull’altro, il rispetto dell’altra parte non vi aggrada, vi consegniamo un afflato più democratico. Non sprecate il bene, conservatelo, accuditelo, proteggetelo e prima di rinunciarci o buttarlo via come un contenitore di tetrapak vuoto tra i filtri del caffè e le bucce del melone, pensateci mille e più volte. Non per un ritmo di coppia, ma per la reazione a catena che s’innesca. Cuori doloranti, sentimenti sbiaditi, incertezze sentimentali e future relazioni zoppe, ricordi presenti, ostacoli da saltare e staffette quotidiane.  Continua a leggere

Tara Mcpherson


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Metamorfosi felina necrofila

Musica consigliata: La gatta, Gino Paoli

Tara Mcpherson

Tara Mcpherson

Nell’armadio degli stereotipi femminili, un modello bon ton sempre in voga è quello della gatta morta. Adeguo, taglio, aggiungo e sottraggo dal profilo genericamente Ocarino:

“Perdono qualsiasi congiuntivo errato, in fondo è umano sbagliare. Sono convinta ci sia del buono in tutti. Vorrei una vita fatta di cose semplici e solari”.

E con un guizzo in meno negli occhi, con silenzi che sono sempre e solo silenzi, con parole che dicono nella media quello che promettono – o che è bene dire – ho completato anche gli ultimi dettagli per mia trasformazione. Meno presenza, meno colore e meno carattere manifesto.

“Sono d’accordo con l’altrui parere e sono convinta ci sia sempre una soluzione”

Et voilà! Con il trucco e, se non è proprio un inganno, un’omissione, io indosso il mio vestito da gatta morta. Del felino ha l’ipocrisia ruffiana, non è un modello che richiede una stupidità eccessiva, solo un’intelligenza fortificata da comuni luoghi in cui incontrarsi evitando il bivio per le opinioni personali e gli scheletri negli armadi, ma optando per la passamaneria di rifinitura della buone maniere e morigeratezza costante, un tipo di sensibilità guarnita di cieli stellati, speranze e facili conclusioni e opinioni adattabili al mutare della conversazione, ma mai eccessive o dissonanti, mai proprie.  Continua a leggere

Richard Hamilton, Study for a fashion plate, 1969


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L’Abusivo – Oh carine

Richard Hamilton, Study for a fashion plate, 1969

Richard Hamilton, Study for a fashion plate, 1969

Oh carine: fatto un giro nel vs. blog ho visto i tre profili di auto-presentazione nonchè qualche risposta all’imbecille di turno.

Essendo un poco intuitivo quasi come una femmina, intuisco che c’è in voi qualche cosa della provincia, forse neanche settentrionale, ma nel sangue, sì c’è. Da “supplemento singolo”  trascrivo: “Chiediamo al mondo di capirci e di soccorrerci. Sappiamo di essere spaventose perché complesse, intelligenti e bizzarre”

Pensa che ti ripensa, questo significa:

1) Visto che il soccorso si chiede quando si sta male…dunque vi siete consociate affinché dalle vs. debolezze riunite nascesse una forza.

2) Probabilmente il vs. blog langue e comunque gli esiti sono inferiori alle attese.

3) Il vs. abbacchiamento denunzia che, pur avendo un secolo in tre, non siete del tutto consapevoli dei mezzi seduttivi e/o ricattatori di cui una donna da sempre dispone per ottenere i suoi fini e quindi allontanare depressione, emarginazione, nevrosi, ecc.

4) Che continuando a leggere  romanzi, non vi è ancora apparsa la distinzione fra mondo reale e mondo finto, forse per colpa di  una di voi  che insegna lettere o cose affini.

5) Fate fatica ad accettare che il merito e la sapienza contino poco o nulla; e non vi fate capaci che tutto decidano la fortuna, il caso, la connessione politica o l’appartenenza sociale; o la mafia.

6) Se il mondo vi duole non lamentatevi: è normale che ciò accada. Vuol dire che -almeno parzialmente- siete sane. Se non vi dolesse, sareste delle mentecatte, delle senatrici o delle puttane.

7) Non avete ancora capito e, in quanto donne mai lo capirete (o forse da vecchie…?), che l’amore non esiste! Lo so che fremete di orrore, ma lo hanno inventato i poeti per meglio fregarvi. Nella pratica è la confluenza di due convenienze. Attrazione fisica e stima possono migliorarla, il danaro meglio ancora. Ma la cosa, ” che ha natura innaturale e opprimente” dura poco. Infatti, tranne casi patologici, entrambi gli “innamorati”cambiano in  tutto e per tutto dopo poco. La panza si arrotonda, il seno cade, i vizi aumentano, i pregi si appannano, la troppa conoscenza pesa. I figli poi… Resta forse -e in parte- la base, ma tutto il di più non resiste, si sgretola. E due estranei si guardano rimproverando quegli altri due che a suo tempo li inguajarono. Infatti loro adesso altro vorrebbero/vogliono fare. Cioè ripetere lo stesso errore con partner semi-nuovi. E il ciclo ricomincia.

8) Non sbandierate troppo di essere intelligenti e bizzarre. Nella maggior parte dei casi verreste boicottate, ma qualcuno potrebbe dire che  millantate. Personalmente, di intelligenza in giro ne trovo poca: vuol dire che non so cercare.

9) Non pretendo che capiate tutto-tutto-tutto adesso, anche perché neanche io sono riuscito.

“State contenti umane genti al quia,// che se possuto aveste capir tutto,// mestier non era parturir Maria.”

10) “Complesso” non è sempre ben messo.  Te capì?

All the best, by Admiral Bembow

Tom Wesselmann, Study for bedroom painting, 1978


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Il sessuomane virtuale

Musica consigliata: Frank Zappa che dirige il Bolero di Ravel 

Tom Wesselmann, Study for bedroom Painting, 1978

Tom Wesselmann, Study for bedroom Painting, 1978

Nella nostra lettura orizzontale di un fenomeno verticale, in altre parole l’essere umano che in chat cerca l’amore, l’avventura, la trasgressione o quanto altro gli manca nella vita quotidiana, abbiamo incontrato diversi tipi. Iniziamo qui un piccolo racconto per tappe rilevanti, oggi ci fermiamo dal sessuomane virtuale. Tranquilli, è tutto sterile e monouso, è tutto virtuale. Non abbiate ansia da prestazione, non ve n’è motivo alcuno.

In una comune chat, non espressamente votata al sesso e all’aspetto erotico, può capitare l’esatto opposto, che avvengano cioè virtuali incontri votati al sesso e all’erotismo finalizzato, spesso, al proprio piacere. Non ci sono orari precisi in cui il sessuomane virtuale esce dalla tana e vi si paventa innanzi con l’impermeabile aperto. Può succedere a qualsiasi ora, tanto alle 07:45 del mattino, come alle 14:13 del pomeriggio, più conciliante l’orario notturno, dalle 22:07 fintanto che la palpebra e la voglia vi sono compagne di pruriginosi discorsi nelle lunghe serate in compagnia dello schermo e di un sessuomane online. Continua a leggere