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Nantron/Metallico (La fatica)
Strana, non banale, arguta.
Di certo, se erano complimenti, a Laura facevano piacere. Tuttavia uno solo era l’apprezzamento che avrebbe voluto sentirsi dire, quello di cui aveva bisogno, e che stava diventando sempre più raro, da ricevere come da leggere negli occhi altrui. Più generoso, a volte, era un sincero specchio.
Era un periodo faticoso. Era come star dentro ad un enorme orologio dagli ingranaggi mastodontici e arrugginiti. Inceppati. Complessi. Grigi. E l’aria che si respirava in quel pantagruelico mondo era stagna e rarefatta. Laura faceva fatica. Ovunque si guardasse era tutto saturo. Di persone, di insoddisfazione, di rabbia, di promesse. Di troppo. Di poco. E di assenze. Mancava il lavoro, mancava una prospettiva. Mancava un’iniziativa che non fosse sterile. Mancava. Ed era un’assenza talmente ampia da essere difficile nella misura e nella quantità.
A volte Laura aveva dei momenti di silenzio, carichi di pensieri che potevano anche rovesciarsi in un pomeriggio di pianto stesa su un divano, dove rimaneva per ore aggrappata al bracciolo per reggere il contraccolpo dei singhiozzi. Faceva fatica. Ed era una fatica liscia, la sua. Doveva attraversare quei giorni dall’umore basso come un martini secco: senza nessun additivo, calmante, biglietto aereo, droga leggera, medicinale prescritto. Così da tempo aveva deciso di giocarsela, visto che non poteva evitarla.